Oggi l'epatite C si può curare.

Per capire come tornare a vivere "Senza la C" o evitarla, sei associazioni di pazienti, molto diverse tra loro, si sono unite con l'obiettivo comune di informare e di sensibilizzare la propria popolazione di riferimento e l'opinione pubblica.

NASCE LA RETE ‘SENZA LA C’, LETTERA ALLE ISTITUZIONI. Obiettivo: curare tutti i malati di HCV

“Eliminare le barriere di accesso”, “garantire la cura a tutti i malati”, “fermare l’esodo che porta tanti ad andare a curarsi all’estero”: è quanto chiedono alle istituzioni le associazioni dei pazienti Aned (Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto), Epac (Pazienti con epatite e malattie del fegato), FedEmo (Federazione Associazioni Emofilici), L'Isola di Arran (Associazione impegnata nella lotta all'emarginazione legata alla droga), Nadir (Persone con HIV) e Plus (Persone LGBT Sieropositive) unite nella rete ‘Senza la C’.

Nata nel 2014 come una campagna di consapevolezza e sensibilizzazione sull’HCV realizzata congiuntamente dalle 6 associazioni dei pazienti, Senza la C da oggi diventa ‘rete’ per realizzare attività condivise di sensibilizzazione sia del grande pubblico che delle Istituzioni con l’obiettivo comune di dare libero accesso alle terapie anti HCV a tutti i malati.

Obiettivo ribadito in una lettera aperta che sarà pubblicata domani sui quotidiani Repubblica e Corriere della Sera e indirizzata al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin e al Direttore Generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) Mario Melazzini.

Nella lettera si plaude l’istituzione in Legge di Bilancio di un fondo dedicato ai farmaci anti-HCV ma si chiede anche di rivedere i parametri che limitano l’accesso ai nuovi farmaci solo ai malati gravi.

L’iniziativa è sostenuta dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit) per il cui Presidente Antonio Chirianni l’ampliamento dei criteri di accesso alle cure “rappresenta un investimento i cui risparmi si vedranno nel lungo termine.

I pazienti che eliminano il virus, non solo non sono costretti ad assumere farmaci a vita, ma ricorreranno molto meno agli ambulatori e ai ricoveri (anche per trapianti), con conseguenti risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale".

“Secondo una recente indagine condotta su 86 centri autorizzati alla prescrizione dei nuovi farmaci per la cura dell’epatite C - spiega Ivan Gardini, presidente di Epac Onlus – risulta che circa 500 italiani sono andati in India ad acquistare i farmaci equivalenti ma se consideriamo anche quanti non lo dichiarano, ne stimiamo oltre un migliaio.

I pazienti acquistano i farmaci all’estero perché si sentono in un vicolo cieco, nessuno è in grado di poter dire quando saranno curati.

Fare una programmazione senza limitazioni di accesso significa poter dire a queste persone quando saranno curate e fa una differenza enorme.

Ad oggi ne curiamo circa 30mila l’anno e con gli 1,5 miliardi spalmati in un triennio previsti in legge di Bilancio, anche il Ministro Lorenzin si è posta l’obiettivo di voler curare 50.000 pazienti l’anno: questo potrebbe far sì che possano cadere le barriere di accesso, e restare comunque nei limiti del budget annuale stanziato prevedendo delle priorità di cura, come ad esempio chi ha una co infezione con altri virus, sindrome metabolica, diabete o altre comorbidità".

La programmazione va rivista anche per far sì che le risorse stanziate siano pienamente sfruttate.

“Esistono infatti, - aggiunge - centri autorizzati alla prescrizione dei farmaci che stanno finendo di trattare pazienti con malattia avanzata, ma hanno numerose persone in attesa con malattia meno avanzata che, secondo i criteri attuali, non possono curare”. Particolarmente delicata è la situazione dei tanti che hanno coinfezioni.

In particolare, spiega il presidente di Nadir onlus Filippo von Schloesser, “sono 15.000 le persone con infezione da HIV attiva e positive anche al virus dell’HIV, di queste oltre 2/3 hanno un grado di fibrosi preoccupante, ma non ancora in stadio avanzato e quindi non hanno accesso ai nuovi farmaci. Riteniamo abbiano una necessità clinica urgente al trattamento, perché comunque hanno una progressione accelerata della malattia epatica rispetto a chi ha solo il virus dell’Epatite C".

Circa 6.000 sono gli emofilici in Italia, 1.000 dei quali con HCV in conseguenza dell’uso di plasmaderivati infetti, ovvero di medicinali salvavita al cui utilizzo il paziente non poteva sottrarsi.

“Se nella media della popolazione italiana gli infettati da HCV si stima rappresentino circa il 2% del totale, tra gli emofilici l’incidenza è quasi del 20% - sottolinea la presidente di FedEmo Cristina Cassone - un’incidenza estremamente rilevante, accompagnata in molti casi anche dall’infezione da HIV.

Riteniamo che laddove esista una cura, questa debba essere accessibile a chiunque ne abbia necessità, a maggior ragione se in presenza di coinfezioni e/o altre patologie gravi concomitanti”.

Novemila sono invece le persone malate di reni, dializzate e sottoposte a trapianti, che hanno anche un’infezione di HCV, contratta a seguito di trasfusioni, somministrazione di emoderivati o, durante la dialisi, venendo a contatto con tratti ematici di altre persone dializzate.

“La nostra Costituzione - ricorda il presidente Aned Giuseppe Vanacore - tutela il diritto alla salute, quindi tutti i malati hanno diritto a esser curati.

Ora cominciamo a intravedere la possibilità di realizzare questo obiettivo, grazie anche al lavoro di sensibilizzazione fatto finora. In questo senso è importantissimo unirsi, perché più voci unite diventano un megafono più grande.

Ed è importante anche l’incontro a livello regionale perché significa poter avviare dei percorsi per arrivare a protocolli diagnostico terapeutici individualizzati”.

Nell’ottica del percorso di sensibilizzazione istituzionale SENZA LA C ha poi accolto con favore l’invito, da parte del consigliere della Regione Lazio Teresa Petrangolini - membro della Commissione Politiche sociali e salute – ad un incontro di conoscenza e approfondimento. All’ordine del giorno dell’iniziativa, supportata in maniera non condizionante da AbbVie, l’ipotesi della creazione di un Osservatorio permanente regionale sull'Epatite C.

"Le politiche pubbliche in sanità - commenta Petrangolini - non possono limitarsi soltanto alle risorse e ai farmaci, pure fondamentali.

Abbiamo bisogno di una strategia e del coinvolgimento dei cittadini e delle associazioni dei pazienti. Per questo fa bene la Regione Lazio ad avviare un percorso a partire dall'ascolto dei malati per garantire al meglio l'informazione, ancora a macchia di leopardo, e l'assistenza.

Dobbiamo mettere tutto il nostro impegno per arrivare a tutti, per far sapere che si può guarire".

“L’incontro in regione - auspica il responsabile dei progetti per l’HCV dell’associazione L’Isola di Arran, Andrea Fallarini - ci auguriamo sia il primo di una serie di altri confronti, necessari anche perché, per questioni di spesa, alcune regioni sono indietro nella cura dei pazienti con i nuovi farmaci. Le regioni inoltre sono centrali nella prevenzione.

In Piemonte stiamo per partire, a breve, con una campagna di test orale per l’HCV: uno screening sulla saliva da effettuare nei servizi per le dipendenze così come nei servizi di pronto intervento e dormitori per homeless, per far avvicinare più persone possibili alla diagnosi.

Se ci fossero iniziative simili in altre regioni potremmo conoscere il sommerso di questa malattia.

Non va infine dimenticato come una seria attuazione di prassi e politiche di riduzione del danno e limitazione dei rischi costituiscano il percorso obbligato per ridurre il numero di nuove infezioni”.

“La rete rappresenta un modo utile di affrontare il confronto con le istituzioni, come ha dimostrato anche negli anni passati l’esperienza politica nella lotta all’HIV.

Sul piano di azione politica - conclude Sandro Mattioli , presidente PLUS – aver raggruppato un cartello di associazioni ha avuto un peso decisivo inclusa la presa di posizione della Lorenzin di annunciare una programmazione sanitaria che può contare su 1,5 miliardi di euro in 3 anni e che consentirà di rivedere i limiti oggi messi da Aifa.

Speriamo che quello in Regione Lazio sia il primo di una serie di confronti con altre regioni.

Confronto necessario visto che abbiamo 21 sistemi sanitari diversi”.

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